[2] http://en.wikipedia.org/wiki/Mindfulness_(Buddhism)
[3] http://en.wikipedia.org/wiki/Mindfulness_(psychology)
Il libro [1] è molto interessante per il modo in cui riassume la Teoria dell'Attaccamento iniziata da John Bowlby e Mary Ainsworth, e ne presenta le applicazioni terapeutiche.
Debbo purtroppo dissentire dal suo tentativo di inserire la mindfulness (parola inglese con cui si rendono il sanscrito smriti ed il pali sati - concetti buddisti che vengono spiegati in [2]) tra i metodi e gli obbiettivi terapeutici.
Infatti la mindfulness esige di avere verso la vita un atteggiamento disinteressato e molto simile a quello della contemplazione estetica dell'opera d'arte - perché se l'opera d'arte merita questo nome, comunica la sua bellezza anche a chi ne ignora lo sfondo storico e culturale.
Allo stesso modo la mindfulness esige di vivere ogni attimo per se stesso, apprezzandolo senza giudicarlo, senza ricollegarlo al proprio passato, senza valutarne la coerenza con il proprio modo di vivere, e senza chiedersi a che cosa porterà nel futuro.
Anzi, ad un livello più profondo, la mindfulness esige di rendersi conto che, come "il proprio modo di vivere" è una scelta, ed il "futuro" dipende da quello che vogliamo, così il nostro "passato" è frutto non delle nostre esperienze, ma di ciò che significano per noi ora; ma se tutto quello che noi siamo può essere in ogni momento rimesso in discussione, allora il nostro Sé, cioè la nostra personalità, è permanente solo per convenzione.
E' considerato normale che in una società per azioni i soci cambino continuamente - perché chi vende le azioni smette di essere socio, e chi le compra lo diventa - ma la società appare sempre la stessa. La mindfulness impone di comprendere che la nostra personalità cambia allo stesso modo perché idee, ricordi, progetti - tutto quello che ci fa distinguere dalle altre persone - in realtà continua a mutare.
Il problema è che chi si rivolge ad un terapeuta lo fa perché la mindfulness non gli è possibile. Non può vivere la vita in modo disinteressato perché alcuni bisogni essenziali non sono stati soddisfatti, e non può che chiedersi che cosa gli permetterà di soddisfarli; questo paziente concepisce la terapia come un allenamento sportivo - serve a massimizzare l'efficacia del gesto atletico ed a minimizzare ciò che ostacola il successo in gara.
Una terapia volta alla mindfulness con un paziente simile deve partire demolendo quest'atteggiamento - ed il terapeuta deve anche chiedersi se questa demolizione è giusta, perché per quanto coartata sia questa vita, spesso è l'unica che il paziente può vivere.
Inoltre, esistono vocazioni (preferisco l'espressione inglese "walks of life = cammini di vita") assolutamente incompatibili con la mindfulness - l'esempio più evidente è la politica. L'uomo politico non può separare l'attimo che sta vivendo dalla storia che lo ha portato ad esso, non può non chiedersi quali ne saranno le conseguenze (per sé e per chi lo ha votato), non può non chiedersi se quello che sta facendo è coerente con l'immagine che ha di se stesso e del suo partito.
Se la politica spesso degenera in demagogia, è perché il rifiuto della mindfulness che le è proprio può contagiare le persone che la praticano, con conseguenze terrificanti: una ricostruzione della storia tra le molte possibili diventa l'unica ricostruzione ammessa; non si riconosce alle persone la libertà di evolversi, ma si pretende di incasellarle; non si permette ad ognuno di agire liberamente (purché non nuoccia al prossimo) ma si pretende che ogni atto dia il suo contributo alla causa.
La diffidenza che spesso suscita la politica ha una sua motivazione nell'essere una delle poche professioni in cui le difficoltà di mindfulness sono paradossalmente un vantaggio e non un danno - cosa che attira persone poco raccomandabili.
Per fortuna, spesso l'incapacità di mindfulness riguarda solo alcuni ambiti della vita - ma se il paziente entra in terapia, sono tragicamente i più importanti per lui. Chi collega la mindfulness all'esperienza estetica può amaramente riassumere la sua situazione dicendo che se la sua vita fosse bella come la Gioconda, potrebbe anche farne oggetto di mindfulness; ma non è nemmeno la Vittoria di Samotracia, che per quanto mutila ispira chi la contempla.
Esistono modi di promuovere la mindfulness senza demolire aggressivamente gli atteggiamenti che le si oppongono - tentazione di molti terapeuti? Il libro cita, a pagina 237, Lev Vygotskij, che diceva
Nel gioco il bambino è sempre al di sopra della sua propria età, al di sopra del suo comportamento quotidiano; nel gioco è come se fosse di una testa più alto di se stesso.Credo che anche per l'adulto valga questa considerazione: quando si "gioca", ovvero si agisce senza doversi preoccupare del risultato o delle conseguenze, si può "cogliere l'attimo" raggiungendo la mindfulness.
Per le persone che hanno seri problemi relazionali, un social network può essere l'ambito in cui si "gioca". Da una parte questo motiva la diffidenza di chi avverte che molte persone in Internet sembrano assai migliori di come appaiono faccia a faccia, anche quando non coltivano l'insincerità, dall'altra può essere un'opportunità di crescita per chi frequenta il network.
Una terapia potrebbe essere un altro luogo in cui "giocare", in quanto transfert e controtransfert costituiscono una relazione in cui è vietato pensare ad un risultato. Purtroppo, non riesco a non pensare ad una terapia come ad un semplice gioco - il paziente deve avere un fine da raggiungere e sulla base di quel fine valutare i progressi della terapia, altrimenti è senza difesa contro terapeuti poco competenti e poco scrupolosi.
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