lunedì 25 novembre 2013

Una polemica interreligiosa fatta con stile

[1] http://queercrystal.blogspot.it/2009/04/il-programma-di-hillel-ed-aqiva.html

"Chi si loda si imbroda", si dice, ma, visto che per i cristiani è inevitabile confrontarsi con gli ebrei, e rimarcare le differenze tra i primi ed i secondi, ho pensato di citare il mio vecchio post [1] come esempio di polemica fatta con stile.

In [1] volevo semplicemente spiegare perché l'halakhah, la legge religiosa ebraica, pur assomigliando alla filosofia morale, non si può confondere con essa. Poiché voglio che il mio comportamento sia determinato da una legge razionale, anziché rivelata, questo equivaleva ad un commiato amichevole dall'ebraismo.

Però, non sentivo il bisogno di trasformare il mio distacco dall'ebraismo in astio, ed ho cercato anzi di mostrare che l'halakhah ha molti più pregi di quelli che la maggior parte dei non ebrei è disposta a riconoscerle, pregi che anche un filosofo morale può apprezzare.

Non è altrettanto facile per chi professa una religione come quella cristiana dichiarare: "L'ebraismo è una buona religione, ma ci sono dei validi motivi perché io non la professi", anche perché dir questo impone di studiare l'ebraismo andando oltre gli stereotipi, e capire bene perché si vuole prendere le distanze da esso.

Nel caso cristiano, il grosso problema è l'"eredità contesa", ovvero, chi è il degno continuatore del medio giudaismo? L'ebraismo rabbinico od il cristianesimo? Finché si ha questo atteggiamento, alimentato ahinoi dal Nuovo Testamento e da alcuni testi ebraici non privi di vis polemica, non si riesce ad avere la serenità di chi serve Dio a suo modo ed ammette volentieri che altri in buona fede vogliano farlo in modo diverso.

Inoltre, un buon consiglio che ci si rifiuta spesso di seguire è il tenere ben separato il piano delle idee (in cui una polemica ben condotta può diventare dialettica chiarificatrice) da quello delle identità, che spesso diventano il pretesto per radunare un gruppo di persone da insultare, discriminare, e colpire, se non addirittura sopprimere.

In [1] ho evitato di attribuire a chi si attiene all'halakhah caratteristiche negative, anzi, ho voluto mostrare quanto raffinati siano i suoi modi di pensare, anche se non li condivido appieno. Spero che altri imitino il mio esempio.

Raffaele Ladu

giovedì 21 novembre 2013

Illuminare il sabato: lampada alogena o a LED?

Gli ebrei osservanti che eventualmente leggessero questo post diranno certamente: "Grazie, sono cose che sappiamo benissimo"; poiché però ci sono certamente parenti, amici e conoscenti che vogliono essere loro utili, ma queste cose non le sanno, ho ritenuto opportuno scrivere questo post.

Di sabato (cioè dal tramonto del venerdì al tramonto del sabato, più una fascia di rispetto prima e dopo la cui ampiezza varia da comunità a comunità) un ebreo osservante si guarda bene dall'azionare un interruttore elettrico; le motivazioni di questa proibizione variano a seconda dell'apparecchio elettrico azionato, ed a me interessa il caso della lampada elettrica.

La prima lampada elettrica era ad incandescenza: prima si usava un filo di carbone sotto vuoto, poi di metallo (una lega di tungsteno); poiché questo filamento viene riscaldato dalla corrente che ci passa fino a produrre luce, accendere una lampada di questo tipo di sabato viola il comandamento biblico di accendere un fuoco, e spegnere questa lampada viola l'altrettanto biblico comandamento di spegnerlo intenzionalmente.

Le proibizioni bibliche vanno osservate severamente: soltanto il rischio concreto per una vita umana autorizzerebbe a violarle - quindi una lampada ad incandescenza un ebreo si augura di non doverla mai usare di sabato.

Per questo nelle case degli ebrei osservanti le lampade elettriche di sabato vengono gestite da un timer: se viene programmato prima di sabato, il suo uso è pienamente lecito.

Le lampade alogene sono delle lampade ad incandescenza migliorate: un'atmosfera di iodio circonda il filamento, consentendo di scaldarlo a temperatura maggiore senza diminuirne la durata, ed aumentando il rendimento luminoso - purtroppo, è sempre il calore a produrre luce, e questo vieta l'uso anche di queste lampade di sabato.

L'UE ha vietato la vendita delle lampade ad incandescenza, a causa del loro basso rendimento luminoso, e consente solo la vendita di lampade alogene, fluorescenti ed a LED.

Una lampada fluorescente usa calore solo al momento dell'accensione, per innescare la scarica elettrica in un gas; questa scarica produce luce visibile e raggi ultravioletti - che vengono convertiti in luce visibile dal rivestimento interno del tubo di vetro.

L'uso del calore è molto limitato, ma non attenua la proibizione; invece le lampade a LED, non solo hanno il miglior rendimento luminoso, ma poiché non usano mai calore per convertire l'energia elettrica in energia luminosa, non fanno incorrere nella proibizione biblica di accendere o spegnere un fuoco di sabato.

Si incorre invece in una proibizione rabbinica: non creare nulla di nuovo (chiudendo un circuito elettrico, per esempio, mentre si accende la lampadina) e non distruggere nulla (aprendo il circuito al momento di spegnerla).

Per fortuna, è più facile trovare una scappatoia per disattendere una proibizione rabbinica - per esempio, perché osservare un divieto rabbinico rende difficile od impossibile osservare un precetto biblico - e quindi le lampade a LED sono le favorite dagli ebrei per motivi che vanno oltre il loro elevato rendimento luminoso.

Ovviamente, questo post è soltanto un accenno ad un problema halachico molto serio - serve solo ad avvertire che avere in casa delle lampade a LED non fa solo risparmiare sulla bolletta, ma rende la vita molto più facile ad eventuali amici ed ospiti ebrei.

Anche gli amministratori pubblici dovrebbero tenerne conto: in molte città i semafori pedonali diventano verdi soltanto se i pedoni premono un pulsante; se il pedone è un ebreo osservante, ed il semaforo usa lampade ad incandescenza, il pedone in questione di sabato non può attraversare la strada senza rischiare la pelle.

Passare alle lampade a LED in questo caso non salva solo le casse comunali.

Raffaele Ladu

giovedì 14 novembre 2013

L'imperfetto convenzionale, alias antigiudaico

Don Alberto Maggi scrive spesso cose interessanti, ma cade anche lui in un difetto comune a molti teologi cattolici: l'abuso dell'imperfetto.

Parlando del racconto che il Vangelo secondo Luca fa della vicenda di Zaccaria ed Elisabetta, genitori di Giovanni Battista, commenta il passo "... ed osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore” [Luca 1:6, Traduzione CEI] in questo modo:
Rispettavano non solo le leggi, i comandamenti, i precetti, ma anche quelle 613 prescrizioni che costellavano tutta la giornata e la vita dell’individuo: da quando uno si alzava a quando uno andava a dormire.
La frase "quelle 613 prescrizioni che costellavano ..." è un doppio anacronismo.

Anacronismo da una parte perché gli ebrei continuano a classificare i comandamenti divini in 613 precetti, quindi il tempo imperfetto ("costellavano"), che indica un'azione durata a lungo ma ora conclusa, non è grammaticalmente corretto - gli ebrei esistono ancora e, testimone San Paolo, vivranno fino alla fine dei tempi.

Ma anacronismo lo è anche per un altro motivo: 613 è un numero perfetto di cui si sono date diverse interpretazioni - secondo la più antica, la gematria della parola "Torah" è 611, ed aggiungendo le prime due parole del Decalogo, comunicate direttamente da Dio ad Israele, senza la mediazione di Mosé come invece le altre otto, si arriva a 613.

La prima attestazione del numero 613 applicato ai precetti si trova nel Talmud, Makkot, 23b, che l'attribuisce a rav Simlai, vissuto in Eretz Yisrael/Filastin nel 3° Secolo Dopo Cristo, e che polemizzò con Origene (184/185-253/254) sulla Trinità. Non c'è prova che questo numero fosse stato già calcolato all'epoca di Gesù, anzi, di Zaccaria ed Elisabetta.

Inoltre, cosa curiosa è che, fino all'epoca di Maimonide (1135-1204), ogni elenco dei precetti ne elencava sì 613, ma ogni autore aveva la sua lista personale (la prima del genere è stata quella di Saadia Gaon [882/892 - 942]).

Fu Maimonide a standardizzare la lista con la propria autorevolezza (ma non convinse tutti - come ad esempio Nachmanide [1194-1270]), ed a dare la più bella delle interpretazioni: 613 è la somma di 365 precetti negativi (uno per ogni giorno dell'anno solare) e 248 precetti positivi (uno per ogni osso ed organo del corpo, secondo la medicina rabbinica).

Quindi dire che Zaccaria ed Elisabetta osservavano "quelle 613 prescrizioni" mi pare temerario: non sappiamo se il numero 613 fosse già stato calcolato, ed a quale lista di precetti eventualmente corrispondesse. Semmai, il Vangelo di Luca testimonia che il processo di "liofilizzazione" della religione ebraica in una lista di "mitzwot = precetti" era già in corso quando venne scritto.

Però questo anacronismo è significativo perché mostra un atteggiamento comune tra i cattolici: l'ebraismo non ha dimensione storica.

O viene presentato come un'esperienza già conclusa (anacronismo del primo tipo), oppure come un'entelechia, in cui non ha importanza accertare quando e perché ha assunto una certa caratteristica (anacronismo del secondo tipo), perché tutte ne esprimono comunque l'essenza - che l'ebraismo, come qualsiasi altra cultura vivente, entri in rapporto con le culture circostanti e le influenzi, o ne subisca l'influenza, a queste persone non viene proprio in mente.

Un giorno o l'altro scriverò una grammatica italiana in cui si parlerà di quello che vorrei chiamare "imperfetto convenzionale od antigiudaico", con cui l'autore descrive una caratteristica a lui sgradita della religione ebraica, ma senza accertarsi che il tempo imperfetto, delle azioni passate durature, magari iniziate prima di un'altra azione passata che fa da riferimento, ma sicuramente compiute nel tempo presente, sia adatto a ciò che descrive.

Se non si riesce ad impedire agli autori di abusare dell'imperfetto, si mettano perlomeno i lettori sull'avviso!

Le polemiche tra religioni sono lecite, chi ne pratica una la ritiene sicuramente migliore della concorrenza ed ha il diritto di dirlo e motivarlo - ma vanno fatte con stile.

Commettere anacronismi non vuol dire avere stile, ma fare autogol.

Raffaele Ladu

domenica 3 novembre 2013

Cristiani per il socialismo (degli imbecilli)

Sono tornato oggi dal Convegno Nazionale delle Comunità Cristiane di Base italiane, tenutosi a Castel San Pietro Terme (Bologna) tra il 1 ed il 3 Novembre 2013.

È stata una magnifica esperienza, su cui magari tornerò per evidenziare gli aspetti positivi; purtroppo ora desidero evidenziare un aspetto negativo, piccolo nell'economia generale del convegno, ma non per questo meno spiacevole: l'antisemitismo nel mondo cristiano non è affatto scomparso.

Se ne è lamentato Dom Giovanni Franzoni, che citando diverse fonti rabbiniche su Gesù ha detto che l'ignorare ciò che gli ebrei hanno da dire è una forma di antisemitismo di cui noi non ci siamo ancora sbarazzati; io mi lamento di una persona che ha detto che Israele sta facendo ai palestinesi l'equivalente morale di quello che Hitler faceva agli ebrei, cioè un genocidio del popolo palestinese.

Credo di capire da dove vengono queste considerazioni: la Comunità di Base di San Paolo a Roma attiva un "Soccorso Sociale per il popolo palestinese", attività in sé assai meritoria perché non si può negare che i palestinesi vivano in una situazione di grave disagio ed abbiano bisogno di aiuto; purtroppo ci sono persone che, molto solerti nello spegnere gli entusiasmi utopistici delle donne che rimpiangono le società matrifocali, prendono invece per oro colato tutto il male che sentono dire sugli israeliani.

La prima cosa da dire è che genocidio è una parola grossa, che definisce un grave reato, e come tutti i reati ha una definizione tassativa che qui riporto (da Wikipedia):
« Uno dei seguenti atti effettuato con l'intento di distruggere, totalmente o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso in quanto tale: 
  • Uccidere membri del gruppo; 
  • Causare seri danni fisici o mentali a membri del gruppo; 
  • Influenzare deliberatamente le condizioni di vita del gruppo con lo scopo di portare alla sua distruzione fisica totale o parziale; 
  • Imporre misure tese a prevenire le nascite all'interno del gruppo; 
  • Trasferire forzatamente bambini del gruppo in un altro gruppo. »
Quello che fa Israele ai palestinesi è grave, ma non risponde alla definizione data. Accusare Israele di genocidio serve soltanto a dare ai suoi propagandisti il pretesto per dire che chi critica Israele è disinformato nel migliore dei casi, in malafede nel peggiore.

Una critica veramente incisiva ad Israele deve dire solo questo: Israele vuole la Cisgiordania, ma non i suoi abitanti, e soprattutto non vuole che questi abitanti abbiano il diritto di voto in Israele, perché presto determinerebbero il destino non solo loro ma anche degli ebrei israeliani ridotti ad una minoranza.

Per evitare che questo accada, da una parte si continua a mantenere la Cisgiordania in un regime di occupazione, senza dare ai palestinesi né l'indipendenza né la cittadinanza, dall'altra se ne saccheggiano le risorse e si tengono i palestinesi in condizione di povertà (Moshe Dayan parlava apertamente di "vita da cani"), nella speranza che essi abbandonino infine la loro terra.

Privare dei diritti politici una popolazione intera (e fare dei suoi diritti civili una farsa) per indurla all'esodo è una cosa molto grave, documentata da decenni da qualsiasi organismo internazionale degno del nome, e di cui alcuni politici israeliani menano pure vanto.

Sarebbe più che sufficiente per criticare ferocemente Israele; ma ci sono persone che non si accontentano di questo, e nuocciono alla loro causa ed all'opinione che si può avere della loro intelligenza.

Infatti tutti dovrebbero sapere che Adolph Hitler non basava il suo antisemitismo soltanto su una teoria razziale, ma anche sul ritenere gli ebrei nemici giurati della Germania - lui presentava la sua politica antiebraica come la necessità di uccidere il nemico in agguato che, a suo dire, aveva già pugnalato alle spalle la Germania nel 1918 e, sempre a suo dire, aveva provocato la Seconda Guerra Mondiale, ed in quella guerra usava gli Alleati come utili idioti contro la Germania.

Dire che gli israeliani (ebrei) si comportano con i palestinesi in modo moralmente equivalente a quello di Hitler con gli ebrei significa avere degli ebrei la stessa opinione di Adolph Hitler: ovvero degli esseri essenzialmente malvagi da sterminare per non esserne vittime.

Le uniche persone che possono avere interesse a diffondere quest'opinione sono gli ammiratori del Gran Muftì Hajj Amin Al-Husayni (189?-1974); riassumendo quello che ne dice il Museo Americano dell'Olocausto, questi fu nominato dalle autorità britanniche Gran Muftì [ovvero l'autorità islamica suprema nel territorio] della Palestina mandataria nel 1921 - e tale rimase fino al 1937, quando fuggì per non essere arrestato.

L'obbiettivo del Gran Muftì era quello di creare un'entità politica panaraba di cui diventare la guida spirituale, ed abrogare i trattati internazionali che stabilivano un "Focolare Ebraico" in Palestina.

Non è che il Corano sia generoso con gli ebrei, ma l'antisemitismo del Gran Muftì andava oltre quello che l'islam autorizza, ed egli si trovò a collaborare con la Germania nazista e l'Italia fascista già dal 1933, in quanto percepiva i due paesi come nemici della Gran Bretagna e potenziali alleati del mondo arabo.

Semplificando una storia complicata, si può dire che tentò sempre di ottenere aiuto militare per un'insurrezione panaraba, aiuto che non ebbe mai, anche perché la Germania non voleva ostacolare le ambizioni coloniali dell'Italia, che uno stato panarabo indipendente avrebbe certamente frustrato.

Giunto in Italia nel 1941, dopo essere stato un membro chiave del governo dell'Iraq nato da un colpo di stato e che si era schierato con la Germania nazista (e per questo gli inglesi avevano invaso il paese ed abbattuto quel governo), cominciò ad aiutare quelli che prima vedeva come alleati ed ora erano diventati i suoi padroni, con delle trasmissioni da Radio Berlino in cui dichiarava la guerra santa contro gli inglesi, istigava i mussulmani che potevano farlo ad arruolarsi nelle file  naziste (e furono infatti reclutate in Jugoslavia delle divisioni di SS mussulmane), mostrando un antisemitismo direttamente ispirato dalla propaganda nazista (vedete qui alcuni dettagli) e, secondo Bernard Lewis, pure conoscenza di prima mano dell'Olocausto nel suo svolgersi.

Tra le cose più spiacevoli che vengono attribuite al Gran Muftì c'è anche l'aver tentato di sabotare le trattative che la Germania nazista aveva intavolato con gli alleati nel 1943 attraverso la Croce Rossa per salvare dei bambini ebrei mandandoli in Palestina; la proposta alternativa del Gran Muftì era di mandare i bambini in Polonia per "tenerli sotto stretto controllo", e viene il sospetto che quella frase fosse un eufemismo paragonabile al "Sonderbehandlung = trattamento speciale" con cui i nazisti definivano lo sterminio degli ebrei.

Le trattative non ebbero alcun successo, e non per colpa del Gran Muftì; è interessante però notare che Israele non vieta a molte ONG di aiutare i bambini palestinesi (pur ostacolandone spesso l'opera), sia dentro che fuori dei territori che controlla; il Gran Muftì non ebbe la stessa misericordia.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale il Gran Muftì divenne un attivista della causa palestinese, non cessando però di invocare la distruzione di Israele e di essere un feroce antisemita, fino alla morte.

Io penso che i palestinesi abbiano diritto al loro stato indipendentemente dalle malefatte del Gran Muftì, allo stesso modo in cui le malefatte di Hitler e Mussolini non hanno privato l'Italia della sua indipendenza e la Germania della possibilità di riunificarsi infine (ed Israele fa cose meno gravi di quelle che abbiamo fatto noi a libici, etiopici ed jugoslavi).

Però, se non si rigetta il Gran Muftì come in Italia e Germania si sono rigettati Mussolini ed Hitler, e come le chiese cristiane hanno rigettato la copertura teo/ideologica dell'apartheid che hanno dato alcune consorelle riformate sudafricane (ed alcuni ebrei stanno cominciando a chiedere ragione dell'appoggio, pratico ma non teorico, che all'apartheid diedero le loro istituzioni comunitarie nel paese; per quanto riguarda il sostegno militare israeliano al regime sudafricano, non è un segreto per nessuno che Israele purtroppo vende armi a chiunque paghi, per timore di non poter mantenere altrimenti un'industria bellica all'altezza di un paese che si trova a dominare il passaggio terrestre tra Asia ed Africa ed incombe sul Canale di Suez - non è una bella cosa, ma non indica una particolare contiguità ideologica con il razzismo sudafricano), e non ci si rende conto che gli argomenti simil-nazisti servono soltanto a nuocere alla causa palestinese, non si fa un passo avanti.

E non si deve essere essere tanto ingenui da non sapere che la lotta anticoloniale (Israele è dal 1967 una potenza coloniale), pur necessaria, non è a prova di infiltrazione nazifascista. Lo hanno dimostrato coloro che instaurarono il regime iraqeno a cui ho accennato prima, la diffusione da best seller che hanno nel mondo arabo i Protocolli dei Savi Anziani di Sion, iniziata dai nazisti, proseguita dai sovietici, e mai più interrotta, e gli intellettuali e politici filofascisti come il Gran Muftì in Palestina (nonché Avraham Stern nella Palestina mandataria, e Chandra Bose in India, tanto per citare altri infami) che hanno avuto modo di inquinare quella lotta.

È quindi perfettamente possibile trovare arabi e palestinesi che hanno assimilato idee naziste allo stesso modo in cui le hanno assimilate degli italiani; il provenire da paesi extraeuropei non garantisce il non essere stati esposti al virus nazista - garantisce semmai che in quei paesi non si trovino le cure (solo discretamente) efficaci che si trovano in Europa. Quindi ... la stessa vigilanza che si adopera in Italia contro pericolose deviazioni di movimenti politici in sé promettenti va usata anche verso le formazioni politiche extraeuropee.

Molti esponenti delle Comunità di Base diedero vita ai Cristiani per il Socialismo; si trattava di una formazione meritoria, ma già alla fine dell''800 il democratico Ferdinand Kronawetter, il socialdemocratico August Ferdinand Bebel ed il comunista Vladimir Il'ic Lenin concordarono che "l'antisemitismo è il socialismo degli imbecilli". Sembra che non tutti lo abbiano imparato.

Raffaele Ladu