martedì 17 novembre 2009

Offrire denaro od altra utilità a chi si converte

Il testo di Sami A. Aldeeb Abu-Shlieh "Il diritto islamico", Carocci, Roma, 2008, avverte a pagina 318 che questa norma coranica è stata abrogata già da Abu Bakr, il primo califfo che successe a Maometto.

La mia esortazione perciò è assolutamente superflua.

***

[1] http://www.nytimes.com/2009/11/17/world/europe/17rome.html?_r=1&ref=middleeast

Il Corano (9:60) permette di offrire i proventi della zakat (l’elemosina che è uno dei pilastri della fede) anche a coloro che simpatizzano per l’islam, in modo da convincerli a fare il grande passo convertendosi.

Ora, credo che condizione della libertà religiosa sia che convertirsi non deve né peggiorare né migliorare la propria vita materiale – altrimenti la scelta non è completamente libera.

Pertanto i mussulmani dovrebbero, a mio avviso, astenersi dal fare quest’uso del proprio denaro; e sarebbe assai opportuna una norma simile a quella israeliana, che vieta di offrire benefici materiali in cambio della conversione religiosa.

Secondo l’articolo citato, Gheddafi ha non solo pagato delle donne per ascoltare la sua lezione sull’islam (cosa tuttalpiù discutibile), ma ha anche offerto loro di pagare lo Hajj (il pellegrinaggio alla Mecca) qualora si fossero convertite all’islam.

E qui ha violato un elementare principio etico, se non la legge italiana. Mi spiace che il Corano non sia d’accordo, ma il Corano ovviamente parteggia per l’islam e non per la libertà religiosa.

Non credo che valga a difesa di Gheddafi il sostenere che il recarsi alla Mecca è solo un dovere religioso islamico, e che il suo valore extrareligioso è scarso: la città e l’Haram della Mecca, a giudicare dalle riproduzioni che ho visto, sono bellissimi, ed al valore religioso del pellegrinaggio si aggiunge sicuramente quello turistico.

lunedì 9 novembre 2009

Il velo nel momento sbagliato

Devo ritrattare gran parte del post. Avevo premesso: "Se non ci sono disposizioni più stringenti di cui non sono a conoscenza ...", e le disposizioni mi sono state indicate - si tratta dei versetti 23:59 e 24:31, che vengono normalmente interpretati come l'imposizione del velo alle donne, tranne che di fronte ai soli parenti più stretti.

Non ho ora il tempo di riscrivere l'intero post, e posso solo avvertire il lettore che non deve lasciarsene fuorviare (mi scuso perciò con chi lo ha già letto), e gli consiglio semmai di leggere questa pagina web, per avere un'opinione più valida:

http://it.wikipedia.org/wiki/Hijab

Scusate tanto.

*

Sto leggendo (per motivi esclusivamente culturali) il Corano in quest’edizione stampata in Arabia Saudita, paese noto per molte cose, ma non certo per il lassismo religioso:

http://store.dar-us-salam.com/product/Q48a.html

ed ho trovato un'interessante nota in lingua inglese alla Sura 7, Versetto 31.

Il versetto dice:

  • in arabo: "Ya bani Adam! Khudhu zaynatakum 'inda kulli masjidin ..."
  • nella traduzione inglese del libro (non mi pare una traduzione letterale, ma non penso di riuscire a far meglio): "O Children of Adam! Take your adornment while praying ..."
  • traducendo dall'inglese in italiano: "O figli di Adamo! Prendete i vostri ornamenti mentre pregate..."

e questa è la nota in inglese:

(quote)

It is obligatory to wear the clothes while praying. And the Statement of Allah: “Take your adornment [(by wearing your clean clothes) covering completely the ’Aurah (covering of one’s ’Aurah means: while praying, a male must cover himself with clothes from umbilicus of his abdomen up to his knees, and it is better that his both shoulders should be covered. And a female must cover all her body and feet except face, and it is better that both her hands are also covered)] while praying [and going round (the Tawaaf of) the Ka’abah].”

In how many (what sort of) clothes a woman should pray? ‘Ikrimah said, “If she can cover all her body with one garment, it is sufficient.”*

* It is agreed by the majority of the religious scholars that a woman while praying should cover herself completely except her face, and it is better that she should cover her hands with gloves or cloth, but her feet must be covered either with a long dress or she must wear socks to cover her feet. This verdict is based on the Prophet’s statement. (Abu Daawuud)

Narrated ‘Aaishah: Allah’s Messenger (pbuh) used to offer the Fajr prayer and some believing women covered with their veiling sheets used to attend the Fajr prayer with him, and then they would return to their homes unrecognized. [Sahih Al-Bukhaari 1/372 (O.P.368)]

(unquote)

Traduco:

(quote)

E' obbligatorio pregare vestiti. Ed il detto di Allah: "Prendete i vostri ornamenti [(indossando vestiti puliti) coprendovi interamente l''Aurah (coprirsi interamente l''Aurah significa: durante la preghiera un maschio deve avere un vestito che copre il corpo dall'ombelico dell'addome fino alle ginocchia - e sarebbe meglio che fossero coperte anche ambo le spalle. Ed una femmina deve coprire tutto il suo corpo ed i piedi, tranne il viso, e sarebbe meglio che fossero coperte anche ambo le mani)] durante la preghiera [e circumambulando (il Tawaaf) la Ka'abah]."

Ed in quanti vestiti (con che tipi di vestito) la donna dovrebbe pregare? 'Ikrimah disse: "Se lei riesce a coprire tutto il corpo con un vestito solo, basta questo."*

* Concorda la maggioranza degli esperti di religione che una donna che prega deve coprire se stessa completamente, salvo il viso, ed è meglio che si copra le mani con i guanti o con uno straccio, ma i suoi piedi devono essere coperti o con una lunga veste, o deve indossare dei calzini per coprirsi i piedi. Questo verdetto si basa sull'affermazione del Profeta. (Abu Dawuud)

Narrò 'Aaisha: il Messaggero di Allah (su di Lui sia pace) abitualmente recitava la preghiera del Fajr, ed alcune donne credenti coperte da veli erano abitualmente presenti al Fajr con lui, e poi tornavano a casa senza farsi riconoscere. [Sahih Al-Bukhaari 1/372 (O.P.368)]

(unquote)

Se non ci sono altre disposizioni più stringenti di cui non sono a conoscenza, questo significa che:

  1. Il precetto religioso non impone alle donne mussulmane di coprirsi il viso; ergo la disposizione della Legge Reale che vieta di coprirselo (salvo giustificato motivo) non impone alle pie mussulmane di violare i loro precetti religiosi, e non può essere impugnata per lesione della libertà religiosa (ed infatti nessuno ci ha mai provato);
  2. Il velo è obbligatorio soltanto durante la preghiera; ergo, una legge (come quella tunisina e quella turca; più limitato è il divieto della legge francese e di quella egiziana) che vieti il velo al di fuori di questa circostanza non può essere impugnata per lesione della libertà religiosa (anche qui si sono fatte molte polemiche, ma nessun'azione legale); può essere impugnata per mancanza di ragionevolezza, se non si dimostra come portare il velo nuoccia all'ordine pubblico;
  3. si può inoltre proporre questo caso di scuola: il responsabile di un "Islamic Superstore" in Italia, che ha più di 15 dipendenti, licenzia una commessa che indossa il velo solo quando prega, e si presenta tranquillamente al lavoro vestita all'europea. La commessa impugna il licenziamento; il responsabile sostiene che l'"Islamic Superstore" è un'"organizzazione di tendenza", e può perciò pretendere che tutti i suoi dipendenti condividano la sua ideologia (in questo caso, essendo dei buoni mussulmani); la commessa lo ammette, ma aggiunge che, poiché non c'è obbligo di portare il velo quando non si prega, il suo rifiuto non consente di ritenerla una cattiva mussulmana, ed il licenziamento è pertanto ingiustificato.
Ora che mi viene in mente, il 14 Settembre 2009 ho visitato la Moschea di Alabastro al Cairo, sulla Cittadella; mi accompagnava una bella ragazza che però aveva le spalle scoperte; all’ingresso una signora le porse un velo che la coprì dal collo ai piedi; la ragazza chiese se doveva coprirsi anche il capo e, con stupore anche di lei, le fu risposto di no – con gran gioia di tutti i presenti, perché i suoi capelli erano straordinari.

Essendoci noi recati lì in visita turistica, e non per pregare, non era necessario per la mia accompagnatrice coprirsi l’intero corpo. Le donne che portano il velo sempre e comunque, o obbediscono ad un uso che non ha nulla a che fare con l’islam (comune infatti in passato anche alla cristiana Europa mediterranea), oppure vogliono fare della loro vita una continua preghiera – e mi piacerebbe chiedere ai mussulmani se questo è opportuno dal loro punto di vista.

Il mio personale punto di vista è questo: non ritengo ragionevole proibire il velo, purché consenta di identificare la persona. Quest'articolo serve solo a stabilire dove porre il "bilanciamento" tra i diritti e gli interessi in gioco.

mercoledì 4 novembre 2009

Il crocefisso nel posto sbagliato

Ho plaudito alla decisione della Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo sui crocefissi nelle scuole italiane, per questi motivi:

  1. Uno stato moderno dev'essere religiosamente neutrale;
  2. Un crocefisso in un edificio pubblico comunica in modo estremamente chiaro che lo stato che gestisce quell'edificio non è imparziale, e che chi non è cristiano in quell'edificio è fuori posto;
  3. Un crocefisso può ledere la libertà religiosa dei non-cristiani, ed il modo me lo ha spiegato una volta il rabbino (ortodosso) di Verona, Italia: un ebreo non può pregare in un luogo in cui vi siano delle immagini, ed il crocefisso è un'immagine; pertanto una famiglia ebrea, per pregare sulla salma del proprio congiunto defunto in un ospedale pubblico italiano, deve togliere il crocefisso dal muro (sperando di non farsi male - il volontario non può mica chiedere una scala e deve salire su una sedia od un mobile), tenerlo chiuso dentro qualcosa finché prega - e sperare che nessuno faccia la spia! Invece i cristiani possono pregare ovunque, e la mancanza del crocefisso in un edificio profano non reca loro danno;
  4. Sono stato nel maggio scorso a Petra, Giordania, ed ho notato che in quel paese abbondano i ritratti dell'attuale re Abdallah, e non mancano quelli del defunto re Hussein; con tutta la mia simpatia per entrambi, non ho potuto fare a meno di notare che più viene ostenso il ritratto di un re, più debole è il suo ascendente sui sudditi, e più insicuro il suo regno;
  5. Per i cristiani Gesù è il Re dei Re, ed anche per lui vale questo principio: chi insiste per appendere il suo "ritratto" in tutti gli edifici pubblici ammette che lui che è da tempo scomparso dal cuore dei suoi fedeli.

Sono obbligato a riservare una sferzata al nuovo segretario del PD Bersani, che ha osato definire il crocefisso a scuola una tradizione innocua. Quanto sia davvero innocua l'ho scoperto leggendo su Facebook lo stato di una mia (ormai ex) amica, insegnante di scuola media, la quale si è chiesta quanti immigrati di religione non cristiana chiederanno un indennizzo allo stato, e chi pagherà il conto.

La taccagneria di chi subordina il riconoscimento di un elementare diritto umano (la libertà di religione, che include la non-discriminazione) a questioni finanziarie mi ha fatto ribollire il sangue (penso che Konrad Adenauer, che pagò 845 milioni di dollari ad Israele in riparazioni per la Shoah, si sia rivoltato nella tomba), ma la cosa veramente importante da contestare era che quella donna ragionava come se l'essere non cristiani fosse una cosa possibile soltanto in chi non era italiano.

Queste sono le idee che suggerisce la "tradizione innocua". Bersani si sta dimostrando succube come lo furono Veltroni e Franceschini dei bigotti che pensano più al potere che alla fede.

Ah, ulteriore (non voluta) conseguenza della sentenza è che nel futuro prevedibile Israele si guarderà bene dall'aderire al Consiglio d'Europa: quel che vale per i crocefissi, vale anche per le mezuzot, presenti in ogni edificio pubblico israeliano e nella maggioranza di quelli privati in ottemperanza ad un ben preciso precetto religioso.

Credo che soltanto il Meretz, dei partiti sionisti israeliani, sarebbe disposto a rimuoverle per amore della laicità dello stato e della non-discriminazione.

martedì 3 novembre 2009

Il tu che libera, il tu che assoggetta

Mi permetto di criticare quest'articolo, che qui riporto per vostra comodità:

(quote)

La parola ebraica attàh, “Tu”, scandisce la preghiera e ritma le benedizioni, facendo seguito immediatamente a Barùkh (“Benedetto sei Tu…”). Anche una parola apparentemente semplice come attàh non è priva di significati teologici e richiede una particolare attenzione. Le prime due lettere di attàh sono alef e tav. Queste due lettere sono anche la prima e l’ultima dell’alfabeto ebraico; segnano dunque l’inizio e la fine e perciò - come insegnano i maestri della tradizione qabbalistica - rappresentano l’intera Creazione. Tutto ciò che è stato, è e sarà, accade attraverso le lettere alef e tav, ne porta il sigillo. Ma messe l’una accanto all’altra le due lettere danno et, la particella usata in ebraico per il complemento oggetto. In breve: alef e tav da sole si riferiscono al mondo trattandolo come un oggetto. Tutto resterebbe inanimato se in attàh non ci fosse la terza lettera, la he, quasi solo un soffio, che rinvia al Nome di D-o. La he finale è l’anima della parola attàh, è il soffio che, mentre diciamo attàh, “Tu”, ci porta all’esterno, ci fa uscire dal nostro sé, ci congiunge con l’Altro e segna così anche il passaggio dal rapporto con l’oggetto inanimato a quello con un altro soggetto o, meglio, con il Tu.

Questo vuol dire che attàh è una parola sacra. Nel Tu, che rivolgiamo quotidianamente agli altri, risuona il “Tu eterno” che rivolgiamo a D-o nella preghiera. Nel Tu di ogni frase quotidiana c’è un frammento nascosto di preghiera. Dire Tu non è pronunciare una parola qualsiasi; ma significa far riecheggiare il soffio del vocativo assoluto con cui possiamo dire “io” riconoscendo l’altro come “tu”. È la riflessione sulla parola ebraica attàh, di uso comune nell’ebraico moderno, ad aver spinto Martin Buber nel suo famoso saggio Io e tu, a fare di questa parola ebraica un’esperienza universale.

Donatella Di Cesare, filosofa

(unquote)

Donatella Di Cesare svolge una bellissima analisi, ma dimentica una cosa: in ebraico anche i pronomi di seconda persona hanno due forme - una maschile ed una femminile.

Il pronome di cui lei parla, che si pronuncia "attah" e si scrive con le lettere ebraiche .alef.tav.he, è la forma maschile del pronome "tu"; la forma femminile si pronuncia "at" e si scrive con le sole lettere .alef.tav - esattamente come la parola "et", il segnacaso dell'accusativo.

Nell'analisi di Di Cesare, è la divina .he che impedisce che l'.alef, la .tav e tutto ciò che è tra esse sottinteso riducano l'interlocutore ad oggetto dell'azione del parlante; ma questa prerogativa è della sola forma maschile.

La forma femminile non ha questa "grazia salvifica" (per mutuare il linguaggio della teologia cristiana), ed a prendere sul serio l'analisi di Di Cesare, la grammatica ebraica avrebbe assegnato alla donna il rio destino di essere l'oggetto dell'azione di chi le rivolge la parola.

Ci sarebbero dunque un "tu" (maschile) che libera ed un "tu" (femminile) che assoggetta.

La conclusione mi pare assolutamente inaccettabile, e mostra una delle conseguenze della fallacia di ritenere il linguaggio isomorfo alla realtà - o, per meglio dire, il ritenere che la struttura del linguaggio riveli come il Creatore ha progettato il mondo che ha creato.

In realtà, nel migliore dei casi il linguaggio rivela la struttura del senso comune di qualche tempo fa, in espressioni come "il sole sorge", ma non è tenuto ad adeguarsi al progresso della scienza.

Inoltre, prenderlo come fonte della morale (con analisi come questa) ci fa cadere nella fallacia naturalistica già stigmatizzata in altri post.