giovedì 28 gennaio 2010

Da un libro di Samir Kassir - 2

Samir Kassir, nelle pagine 133 e 134 del suo libro "Beirut" (Einaudi 2009), dà un giudizio sulle "Tanzimat", cioè le riforme che i sultani ottomani promulgarono nel 19° Secolo per modernizzare il loro impero.

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Col procedere delle Tanzimat, le città appaiono come lo spazio privilegiato in cui si rivelano le molteplici sfaccettature di una rivoluzione dall'alto che non può spiegarsi con le sole pressioni occidentali. Riformulando i rapporti tra sultano e sudditi, adesso uguali nei diritti, rinnovando il sistema giuridico per adattarlo allo sviluppo del capitalismo, modernizzando l'apparato dello Stato e, quindi, la società, una simile rivoluzione mirava a rifondare un impero che non poteva più ridursi a un immenso dominio fiscale né a una macchina da guerra. Al di là delle misure amministrative che tendevano a dotare lo stato di strumenti specializzati (dipartimenti ministeriali, tribunali civili, filiere di formazione ...), ciò che le Tanzimat modificavano era la vocazione stessa dell'attore statuale, chiamato a rispndere ai bisogni della propria popolazione e a pianificarne il soddisfacimento. Anche il ripristino dell'autorità ottomana, che era una delle principali scommesse della riforma, andava nel senso di una razionalizzazione del governo della città. A questo punto occorreva che una nuova fonte di legittimità compensasse il soqquadro nell'ordine simbolico vissuto dall'impero: nel momento in cui l'islam cessava di essere il fondamento unico del potere imperiale, la gestione volontaristica dello Stato faceva prevalere una rappresentazione della cosa pubblica tesa ad alimentare l'osmanlilik, in altre parole la nazionalità ottomana attorno a cui doveva coagularsi il consenso della popolazione.

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Ricordo che Kassir è (anzi, era, perché è stato assassinato nel 2005) cristiano greco-ortodosso, e non aveva motivo alcuno di fare l'apologia dell'islam.

Eppure non può non notare che le Tanzimat portarono l'eguaglianza dei diritti dei cittadini - cosa che implicava un'interpretazione dell'islam che la consentisse, visto che i sultani che promossero le Tanzimat non per questo cessavano di essere califfi (cioè vicari di Maometto).

Gli studiosi del diritto islamico avvertono che la diseguaglianza tra i mussulmani e le varie categorie di non-mussulmani è uno dei pilastri della Shari'a, e quindi le Tanzimat andrebbero classificate semmai nel qanun - ovvero tra i decreti del sovrano, non necessariamente ispirati alla Shari'a o compatibili con essa; però questo link, che riporta un estratto dell'Editto di Gulhane del 1839, mostra che il sultano Mahmud 2° ebbe cura di presentare l'innovazione come un ristabilimento della Shari'a che negli ultimi 150 anni era stata disapplicata - e nessuno osò contraddirlo.

Lo stesso autore che distingue tra "Shari'a" e "Qanun", Sami A. Aldeeb Abu-Shahlieh, fa però notare a pagina 318 del suo libro "Il diritto islamico" (Carocci 2009) che il "consenso" (che può essere espresso dal sovrano a nome del popolo) può abrogare una norma coranica, come è accaduto appunto quando il sultano e califfo Abdulmejid abrogò la jizya (la tassa sui non mussulmani) nel 1855.

Secondo Wikipedia, la piena uguaglianza dei cittadini davanti alla legge fu sancita da Abdul Mejid nel 1856 - meno di settant'anni dopo il 1789.

Ne deduco che non è da oggi che è possibile interpretare l'islam in modo compatibile con l'eguaglianza dei cittadini davanti alla legge - e la costituzione egiziana, che stabilisce all'articolo 2 che la Shari'a (la legge islamica) è la principale fonte del diritto, ed all'articolo 40 che tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge, non dice in realtà nulla di straordinario - le due cose non sono affatto incompatibili.

Straordinario è invece il modo in cui si cerca di sobillare la gente contro l'islam approfittando della sua ignoranza.

Ed in questo purtroppo si distinguono molte persone che si dichiarano amiche di Israele, e non sono capaci di spiegare come mai nel 1992 la Knesset riuscì ad approvare un'importante legge fondamentale sui diritti umani, ma non poté arrivare al traguardo che Abdul Mejid aveva tagliato nel 1856, perché i partiti religiosi ritenevano (e ritengono tuttora) l'eguaglianza dei cittadini davanti alla legge incompatibile con la loro visione dell'ebraismo.

Gli israeliani dicono che il loro paese è "uno stato ebraico e democratico", ma non si tratta di un'endiadi, bensì del manifesto di un torneo di pugilato, ovvero dell'ammissione che ebraismo e democrazia sono scarsamente compatibili, e rendere entrambi la fonte dei valori di un paese richiede notevoli contorsioni intellettuali e qualche compromesso di troppo - a danno dei non ebrei, ovviamente.

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