Mi spiace fare il pedante, ma qualche volta serve.
Sto leggendo, con mostruoso ritardo, questo libro:
Sto leggendo, con mostruoso ritardo, questo libro:
che è una raccolta di articoli di discreto interesse; uno mi ha un po' indispettito, in quanto laureato in psicologia generale ed ex-studente di giurisprudenza.
L'articolo è il capitolo 5 del libro,
in cui l'autore, dopo un'interessante analisi del caso Enimont, che nei primi anni '90 aveva riempito le pagine dei giornali, tenta un'analisi dei contratti della forma "Se tu fai X, io faccio Y", che vuol dimostrare che, se noi riusciamo a capire e ad usare questo tipo di contratti, è perché seguono una "struttura profonda" simile a quella che Noam Chomsky postulava per le grammatiche delle varie lingue parlate - che anche i bambini sono in grado di usare per comprendere se una frase è corretta, od un contratto è plausibile o meno.
L'analisi non manca di interesse, ma ci sono due errori, o meglio: un errore di metodo porta poi a degli errori di merito.
L'errore di metodo è questo: se è vero che i contratti esistono dai primordi dell'umanità, è anche vero che la loro struttura è studiata da 20-30 secoli dalla giurisprudenza; se uno psicologo od un gruppo di psicologi vogliono proporre un nuovo approccio al problema, è certamente assai raccomandabile che interpellino un giurista per capire se l'approccio è tanto promettente come sperano.
Se lo avessero fatto, il giurista avrebbe spiegato loro che la loro analisi non era universale come speravano, nemmeno dallo stretto punto di vista giuridico, e quindi non poteva individuare nulla di universale nemmeno a livello psicologico.
Provo a spiegarmi meglio. I contratti della forma "Se tu fai X, io faccio Y" esistono, vengono chiamati in giurisprudenza "contratti bilaterali", e sono effettivamente la maggior parte dei contratti che usiamo nella vita quotidiana e nel mondo del commercio.
Ma non sono gli unici contratti conosciuti dalla dottrina, o meglio, qui nasce una divaricazione tra il diritto romanistico (quello di paesi come Italia, Francia, Germania, ecc.) e quello dei paesi di diritto anglosassone (come Inghilterra, USA, Israele, ecc.).
Infatti, il diritto romanistico conosce anche i "contratti unilaterali", in cui ci sono due contraenti, ma solo una persona è tenuta a fare qualcosa; un esempio banale è il contratto di deposito, che nel caso più semplice è a titolo gratuito: poiché in questo caso il depositante non paga il depositario perché questi custodisca il bene, l'unica persona che deve fare qualcosa è il depositario, che deve conservare il bene e restituirlo quando convenuto. Se il depositante si tira indietro e non consegna il bene al depositario, questi non può lamentarsi e non può ricorrere al giudice, anzi, ha un'obbligazione in meno!
Quindi, per un romanista, l'analisi proposta da Legrenzi e dai suoi coautori è incompleta; un giurista anglosassone non se ne lamenterebbe, perché nel diritto anglosassone il deposito ed altre figure giuridiche affini non sono classificate come "contracts" ma come "bailments". Questa è la divaricazione di cui parlavo: nel diritto anglosassone solo i "contratti bilaterali" hanno l'onore di essere chiamati "contracts".
Inoltre, la classificazione di Legrenzi confronta la prestazione ("Se tu fai X") con la controprestazione ("Io faccio Y"); è una classificazione valida per un giurista anglosassone, per il quale un "contract" può essere annullato per "lack of consideration = mancanza di corrispettivo", ovvero quando alla prestazione non corrisponde una controprestazione adeguata - è più problematica per un romanista.
E' vero, anche nel diritto romanistico un contratto può essere annullato per "lesione", (Codice Civile Art. 1448) ovvero perché tra il valore di prestazione e controprestazione c'è un divario di oltre la metà, il contraente "leso" ha acconsentito ad un contratto tanto svantaggioso perché in stato di bisogno, e la controparte lo sapeva e ne ha approfittato; però più importante ancora per il romanista è la causa del contratto, più che l'equivalenza delle prestazioni.
La causa è l'interesse che la legge intende tutelare consentendo e facendo rispettare un certo tipo di contratto; se un contratto ha una causa che la legge non approva, esso è nullo. Legrenzi non prende in considerazione la causa, e la sua analisi ha scarso valore nel diritto romanistico.
Non c'è niente di universale nell'analisi di Legrenzi: il grande giurista inglese del 19° secolo Maitland diceva che il diritto romano è la lingua franca della comunicazione giuridica, e forse sarebbe stato meglio partire con un'analisi dei contratti secondo il diritto romanistico, non secondo il diritto anglosassone, anche se l'articolo originale era stato pubblicato su una rivista americana.
I safari in discipline diverse dalla propria sono leciti ed in certa misura benvenuti, ma è meglio farsi accompagnare da una guida indigena, per non mettersi nei guai :-)
L'articolo è il capitolo 5 del libro,
- Contratti e minacce: analisi cognitiva di un caso di corruzione politica / Paolo Legrenzi
in cui l'autore, dopo un'interessante analisi del caso Enimont, che nei primi anni '90 aveva riempito le pagine dei giornali, tenta un'analisi dei contratti della forma "Se tu fai X, io faccio Y", che vuol dimostrare che, se noi riusciamo a capire e ad usare questo tipo di contratti, è perché seguono una "struttura profonda" simile a quella che Noam Chomsky postulava per le grammatiche delle varie lingue parlate - che anche i bambini sono in grado di usare per comprendere se una frase è corretta, od un contratto è plausibile o meno.
L'analisi non manca di interesse, ma ci sono due errori, o meglio: un errore di metodo porta poi a degli errori di merito.
L'errore di metodo è questo: se è vero che i contratti esistono dai primordi dell'umanità, è anche vero che la loro struttura è studiata da 20-30 secoli dalla giurisprudenza; se uno psicologo od un gruppo di psicologi vogliono proporre un nuovo approccio al problema, è certamente assai raccomandabile che interpellino un giurista per capire se l'approccio è tanto promettente come sperano.
Se lo avessero fatto, il giurista avrebbe spiegato loro che la loro analisi non era universale come speravano, nemmeno dallo stretto punto di vista giuridico, e quindi non poteva individuare nulla di universale nemmeno a livello psicologico.
Provo a spiegarmi meglio. I contratti della forma "Se tu fai X, io faccio Y" esistono, vengono chiamati in giurisprudenza "contratti bilaterali", e sono effettivamente la maggior parte dei contratti che usiamo nella vita quotidiana e nel mondo del commercio.
Ma non sono gli unici contratti conosciuti dalla dottrina, o meglio, qui nasce una divaricazione tra il diritto romanistico (quello di paesi come Italia, Francia, Germania, ecc.) e quello dei paesi di diritto anglosassone (come Inghilterra, USA, Israele, ecc.).
Infatti, il diritto romanistico conosce anche i "contratti unilaterali", in cui ci sono due contraenti, ma solo una persona è tenuta a fare qualcosa; un esempio banale è il contratto di deposito, che nel caso più semplice è a titolo gratuito: poiché in questo caso il depositante non paga il depositario perché questi custodisca il bene, l'unica persona che deve fare qualcosa è il depositario, che deve conservare il bene e restituirlo quando convenuto. Se il depositante si tira indietro e non consegna il bene al depositario, questi non può lamentarsi e non può ricorrere al giudice, anzi, ha un'obbligazione in meno!
Quindi, per un romanista, l'analisi proposta da Legrenzi e dai suoi coautori è incompleta; un giurista anglosassone non se ne lamenterebbe, perché nel diritto anglosassone il deposito ed altre figure giuridiche affini non sono classificate come "contracts" ma come "bailments". Questa è la divaricazione di cui parlavo: nel diritto anglosassone solo i "contratti bilaterali" hanno l'onore di essere chiamati "contracts".
Inoltre, la classificazione di Legrenzi confronta la prestazione ("Se tu fai X") con la controprestazione ("Io faccio Y"); è una classificazione valida per un giurista anglosassone, per il quale un "contract" può essere annullato per "lack of consideration = mancanza di corrispettivo", ovvero quando alla prestazione non corrisponde una controprestazione adeguata - è più problematica per un romanista.
E' vero, anche nel diritto romanistico un contratto può essere annullato per "lesione", (Codice Civile Art. 1448) ovvero perché tra il valore di prestazione e controprestazione c'è un divario di oltre la metà, il contraente "leso" ha acconsentito ad un contratto tanto svantaggioso perché in stato di bisogno, e la controparte lo sapeva e ne ha approfittato; però più importante ancora per il romanista è la causa del contratto, più che l'equivalenza delle prestazioni.
La causa è l'interesse che la legge intende tutelare consentendo e facendo rispettare un certo tipo di contratto; se un contratto ha una causa che la legge non approva, esso è nullo. Legrenzi non prende in considerazione la causa, e la sua analisi ha scarso valore nel diritto romanistico.
Non c'è niente di universale nell'analisi di Legrenzi: il grande giurista inglese del 19° secolo Maitland diceva che il diritto romano è la lingua franca della comunicazione giuridica, e forse sarebbe stato meglio partire con un'analisi dei contratti secondo il diritto romanistico, non secondo il diritto anglosassone, anche se l'articolo originale era stato pubblicato su una rivista americana.
I safari in discipline diverse dalla propria sono leciti ed in certa misura benvenuti, ma è meglio farsi accompagnare da una guida indigena, per non mettersi nei guai :-)