lunedì 7 settembre 2009

Autorità di certificazione

[1] http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-3773089,00.html

Questo è uno dei tanti articoli che mi capita di leggere in cui gli ebrei israeliani non ortodossi si lamentano di essere non solo snobbati dai loro correligionari ortodossi, ma anche esclusi dal godimento dei servizi religiosi pagati dallo stato d'Israele con i soldi del contribuente, e di fatto riservati agli ebrei ortodossi.

Tutta la mia solidarietà va agli esclusi, conservatori e riformati, ma credo che stiano ambendo all'obbiettivo sbagliato.

Tutto nasce dal fatto che il popolo ebraico è l'unico popolo della terra (più grande di una tribù) in cui appartenere a quel popolo e ad una religione in particolare coincidono. Perciò una persona non si sente pienamente appartenente a quel popolo finché non è ammessa a tutti i servizi predisposti per le persone di quella religione.

Una persona che voglia mangiare kasher non ha bisogno di chiedere il permesso, e non ho mai sentito di persone cacciate da una sinagoga perché non ebree; invece, come dice l'autore di [1], essere ammessi (od ammesse, perché la cosa riguarda più frequentemente le signore) ad un miqweh (bagno rituale) se non si è ebrei ortodossi è praticamente impossibile.

Inoltre, le spese per i servizi religiosi (anche quelli di cui godono anche i non ortodossi, come i mattatoi kasher) sono sostenute da tutti i contribuenti israeliani, anche dal 20% dei cittadini israeliani non ebrei, che vedono che soltanto il 15% del budget del Ministero per gli Affari Religiosi è dedicato a loro.

Riformati e conservatori vogliono una parte di quel budget, ma non credo sia solo una questione di soldi; ritengono che, se lo stato finanzia anche le loro sinagoghe, apre anche a loro i miqwaot (plurale di miqweh), ecc., questo significhi che li ritiene ebrei a pieno titolo al pari degli ortodossi.

Lo sbaglio qui sta nell'attribuire allo stato d'Israele una funzione a cui gli altri stati dell'occidente hanno abdicato da tempo: regolamentare le questioni religiose, stabilendo in primis chi è ebreo e chi non lo è, ed imponendo all'occorrenza interpretazioni della legge religiosa che originano dal parlamento o da un tribunale civile, e non dalle fonti proprie di quella religione.

Nella tradizione mussulmana, questo è considerato normale; non può esserlo per un paese liberaldemocratico come Israele vuole essere.

In un simile paese lo stato dovrebbe astenersi scrupolosamente da tutto ciò che riguarda le identità collettive, tra cui appunto quelle religiose; dovrebbe essere consentito il matrimonio civile, e le discriminazioni tra ebrei e non ebrei dovrebbero essere abolite. A questo punto l'essere "ebreo" non aggiungerebbe granché all'essere "israeliano".

Questo lascerebbe i conservatori ed i riformati che vogliono riunirsi agli ortodossi, ed essere considerati ebrei anche da questi ultimi, con la sola arma della diplomazia - ma credo che sia l'unico modo efficace.

Se nessuno ha il controllo sulle risorse che lo stato destina alla religione ebraica (perché lo stato si è appunto completamente separato dalle religioni, e non destina a loro risorsa alcuna), nessun altro può sostenere che gli viene fatto torto.

Per quanto riguarda la Legge del Ritorno, spauracchio agitato da tutti gli oppositori della separazione della religione dallo stato, la si può conservare come misura umanitaria: gli ebrei hanno bisogno di un rifugio, e la Legge del Ritorno glielo fornisce.

Si tratta di un bisogno che gli ebrei sentono in misura più intensa degli altri popoli, e con il resto del mondo meno disposto a fornirlo a loro che ad altri (la conferenza di Evian del 1937 lo prova); una misura speciale per loro non viola pertanto il principio di eguaglianza, e tocca ad Israele provvedere.

Per quanto riguarda i profughi palestinesi, la loro sorte sarà stabilita dal trattato di pace.

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